La storia che se ne va...
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La storia che se ne va...
Discussioni, articoli, immagini, filmati, che riguardano quei "pezzi di storia" (monumenti, o semplicemente luoghi della memoria) che vengono cancellati, magari a causa della moderna "esigenza di rinnovamento"...
da cevio paese della vallemaggia nel canton ticino-svizzera
Da piergiorgio rangoni Oggi a 9:12
Le ruspe cancellano una lunga storia
Cevio, prosegue la demolizione dell’ex Ospedale. I ‘nostalgici’ auspicano che i ricordi non vadano perduti
di Fausta Pezzoli-Vedova
Proseguono i lavori di abbattimento dell’ex Ospedale distrettuale di Vallemaggia; oltre metà dell’edificio è già caduta sotto i colpi della ruspa e la parte restante crollerà nei prossimi giorni.
Si chiude così un capitolo storico iniziato nel 1912 con la nascita dell’Associazione dei comuni di Valmaggia avente lo scopo di valutare l’opportunità di creare un luogo dove curare la gente. Sulla spinta del grande entusiasmo iniziale e della caparbietà dei promotori già nel 1916 s’inaugura, a Cevio, in un edificio offerto da una famiglia Moretti, una piccola casa di cura con 12 letti. Un anno più tardi si trasloca in Casa Filippini e i posti letto diventano 30. Lì si resta sino all’inaugurazione, nel 1922, del nuovo ospedale-ricovero. Negli anni successivi la struttura si adegua: primo ampliamento nel 1938; nel 1950 aggiunta di un terzo piano e nuovo reparto maternità; 1975 costituzione del Consorzio per la gestione; 1982 inaugurazione dell’Ospedale dopo importanti restauri costati 8,6 milioni e successiva cessione (1983) all’Ente ospedaliero cantonale. Siamo all’anno 2000, pochi giorni prima di Natale, il Cantone comunica alla valle che, nell’ambito della riorganizzazione ospedaliera voluta dalla Confederazione, il destino dell’Ospedale di Cevio è segnato. La Vallemaggia alza gli scudi – chi non si ricorda gli striscioni “L’ospedale di Cevio non si tocca!” – si raccolgono oltre 10 mila firme e la politica locale si mobilita. Le trattative portano a un risultato che infine soddisfa la valle: l’ospedale sarà riconvertito in Centro Sociosanitario. Questo accade nel 2009 e un anno più tardi, dopo le perizie degli esperti, si fa strada la decisione di demolire l’ex ospedale a causa della sua inadeguatezza al nuovo ruolo e alle grandi difficoltà legate ad un eventuale risanamento. La notizia (anticipata da LaRegione Ticino il 16 maggio 2002) è accolta in valle nella quasi totale indifferenza. Sporadiche e isolate, infatti, sono le voci levatesi pubblicamente in sua difesa, per chiedere un ripensamento, una pausa di riflessione o uno studio sull’eventuale possibilità di cambiare il destino dell’edificio, magari una parziale ristrutturazione o valutare le possibilità di un suo mantenimento, per destinarlo ad altri scopi. Anche la Stan fa sentire la sua voce presso gli addetti ai lavori; ne segue una serata pubblica (agosto 2003), durante la quale alcuni energici interventi in difesa dell’ex ospedale non mancano. Ma ciò non ha comunque prodotto variazioni sulla tabella di marcia del Gruppo di lavoro e neppure vi è stata una presa di posizione della popolazione a difesa dello stabile. La procedura di riconversione continua il suo iter, gestito dalla Fondazione Vallemaggia (proprietaria dello stabile) e nel marzo 2005 vengono presentati i 35 progetti per il nuovo Centro Sociosanitario, la cui edificazione viene assegnata al vincitore del concorso, lo studio d’architettura Lands Architetture di Lugano. La storia corre poi veloce, nel 2006 è inoltrata al Comune di Cevio la domanda di costruzione e nel mese di maggio 2007 arriva la licenza edilizia.
‘Salvare la memoria’ A giorni terminerà la demolizione alla quale seguirà lo sgombero del materiale e l’inizio dello scavo per il nuovo edificio (solo parzialmente immesso nel sedime del vecchio stabile) che sarà inserito nel territorio come “una sbarra che unisce il piano alla montagna”. Seguendo il calendario, entro la fine del 2011 la Vallemaggia potrà disporre di un moderno Centro Sociosanitario di proprietà della Fondazione Vallemaggia, coordinata da Marco Fiori, e gestito dall’Associazione Valmaggese Casa Anziani, Aiuto domiciliare e Invalidi adulti, presieduta da Ivo Lanzi. Ora la valle si chiede se rimarrà, almeno virtualmente, un “cordone ombelicale” con il passato? Abbiamo girato la domanda al professor Bruno Donati, al quale la Fondazione Vallemaggia ha chiesto di verificare quanto potrebbe essere recuperato alla memoria futura. Ecco quanto ci ha dichiarato. « Se si può capire il cambiamento di direzione imposto dal Cantone, da ospedale a centro sanitario e l’insediamento in un nuovo edificio, risulta per contro assolutamente inspiegabile e insensata la decisione di distruggere il vecchio ospedale, presa dagli architetti, avvallata dalle autorità della Valle, ma non condivisa dalla maggioranza della popolazione. Al vecchio ospedale si poteva, ma non si è voluto dare una nuova funzione. Ora non resta che raccogliere i cocci e cercare di salvare almeno la memoria di un edificio costruito dai Valmaggesi con tanti sacrifici e che ha marcato la nostra storia del Novecento. In realtà, però, si è riusciti a salvare ben poco. Oltre a una documentazione fotografica si sono potuti recuperare solo pochissimi elementi architettonici, le lapidi che ricordano i benefattori e i principali dipinti della cappella. Ci si augura che alcuni di questi elementi possano almeno trovare spazio nel nuovo Centro, in modo da dare un minimo senso di continuità in quello che è stato lo sforzo volto a garantire alla Valle efficienti infrastrutture sanitarie. Ma anche in questo caso ci si deve affidare alla sensibilità di chi prenderà le decisioni ».
Le ruspe cancellano una lunga storia
Cevio, prosegue la demolizione dell’ex Ospedale. I ‘nostalgici’ auspicano che i ricordi non vadano perduti
di Fausta Pezzoli-Vedova
Proseguono i lavori di abbattimento dell’ex Ospedale distrettuale di Vallemaggia; oltre metà dell’edificio è già caduta sotto i colpi della ruspa e la parte restante crollerà nei prossimi giorni.
Si chiude così un capitolo storico iniziato nel 1912 con la nascita dell’Associazione dei comuni di Valmaggia avente lo scopo di valutare l’opportunità di creare un luogo dove curare la gente. Sulla spinta del grande entusiasmo iniziale e della caparbietà dei promotori già nel 1916 s’inaugura, a Cevio, in un edificio offerto da una famiglia Moretti, una piccola casa di cura con 12 letti. Un anno più tardi si trasloca in Casa Filippini e i posti letto diventano 30. Lì si resta sino all’inaugurazione, nel 1922, del nuovo ospedale-ricovero. Negli anni successivi la struttura si adegua: primo ampliamento nel 1938; nel 1950 aggiunta di un terzo piano e nuovo reparto maternità; 1975 costituzione del Consorzio per la gestione; 1982 inaugurazione dell’Ospedale dopo importanti restauri costati 8,6 milioni e successiva cessione (1983) all’Ente ospedaliero cantonale. Siamo all’anno 2000, pochi giorni prima di Natale, il Cantone comunica alla valle che, nell’ambito della riorganizzazione ospedaliera voluta dalla Confederazione, il destino dell’Ospedale di Cevio è segnato. La Vallemaggia alza gli scudi – chi non si ricorda gli striscioni “L’ospedale di Cevio non si tocca!” – si raccolgono oltre 10 mila firme e la politica locale si mobilita. Le trattative portano a un risultato che infine soddisfa la valle: l’ospedale sarà riconvertito in Centro Sociosanitario. Questo accade nel 2009 e un anno più tardi, dopo le perizie degli esperti, si fa strada la decisione di demolire l’ex ospedale a causa della sua inadeguatezza al nuovo ruolo e alle grandi difficoltà legate ad un eventuale risanamento. La notizia (anticipata da LaRegione Ticino il 16 maggio 2002) è accolta in valle nella quasi totale indifferenza. Sporadiche e isolate, infatti, sono le voci levatesi pubblicamente in sua difesa, per chiedere un ripensamento, una pausa di riflessione o uno studio sull’eventuale possibilità di cambiare il destino dell’edificio, magari una parziale ristrutturazione o valutare le possibilità di un suo mantenimento, per destinarlo ad altri scopi. Anche la Stan fa sentire la sua voce presso gli addetti ai lavori; ne segue una serata pubblica (agosto 2003), durante la quale alcuni energici interventi in difesa dell’ex ospedale non mancano. Ma ciò non ha comunque prodotto variazioni sulla tabella di marcia del Gruppo di lavoro e neppure vi è stata una presa di posizione della popolazione a difesa dello stabile. La procedura di riconversione continua il suo iter, gestito dalla Fondazione Vallemaggia (proprietaria dello stabile) e nel marzo 2005 vengono presentati i 35 progetti per il nuovo Centro Sociosanitario, la cui edificazione viene assegnata al vincitore del concorso, lo studio d’architettura Lands Architetture di Lugano. La storia corre poi veloce, nel 2006 è inoltrata al Comune di Cevio la domanda di costruzione e nel mese di maggio 2007 arriva la licenza edilizia.
‘Salvare la memoria’ A giorni terminerà la demolizione alla quale seguirà lo sgombero del materiale e l’inizio dello scavo per il nuovo edificio (solo parzialmente immesso nel sedime del vecchio stabile) che sarà inserito nel territorio come “una sbarra che unisce il piano alla montagna”. Seguendo il calendario, entro la fine del 2011 la Vallemaggia potrà disporre di un moderno Centro Sociosanitario di proprietà della Fondazione Vallemaggia, coordinata da Marco Fiori, e gestito dall’Associazione Valmaggese Casa Anziani, Aiuto domiciliare e Invalidi adulti, presieduta da Ivo Lanzi. Ora la valle si chiede se rimarrà, almeno virtualmente, un “cordone ombelicale” con il passato? Abbiamo girato la domanda al professor Bruno Donati, al quale la Fondazione Vallemaggia ha chiesto di verificare quanto potrebbe essere recuperato alla memoria futura. Ecco quanto ci ha dichiarato. « Se si può capire il cambiamento di direzione imposto dal Cantone, da ospedale a centro sanitario e l’insediamento in un nuovo edificio, risulta per contro assolutamente inspiegabile e insensata la decisione di distruggere il vecchio ospedale, presa dagli architetti, avvallata dalle autorità della Valle, ma non condivisa dalla maggioranza della popolazione. Al vecchio ospedale si poteva, ma non si è voluto dare una nuova funzione. Ora non resta che raccogliere i cocci e cercare di salvare almeno la memoria di un edificio costruito dai Valmaggesi con tanti sacrifici e che ha marcato la nostra storia del Novecento. In realtà, però, si è riusciti a salvare ben poco. Oltre a una documentazione fotografica si sono potuti recuperare solo pochissimi elementi architettonici, le lapidi che ricordano i benefattori e i principali dipinti della cappella. Ci si augura che alcuni di questi elementi possano almeno trovare spazio nel nuovo Centro, in modo da dare un minimo senso di continuità in quello che è stato lo sforzo volto a garantire alla Valle efficienti infrastrutture sanitarie. Ma anche in questo caso ci si deve affidare alla sensibilità di chi prenderà le decisioni ».
Re: La storia che se ne va...
Piergiorgio, hai una foto di questo edificio?
Diogene- Numero di messaggi : 62
Data d'iscrizione : 19.11.08
caro diogene la foto arrivera.attendo un volumetto ...per ora il "seguito"
Il dibattito
Ospedale di Cevio, requiem e mea culpa di Fiorenzo Dadò, deputato Ppd al Gran Consiglio
Leggo sul GdP la lettera di un giovane valmaggese, deluso dalla demolizione dell’Ospedale di Cevio, che dice cose verissime e che in valle pensano in molti. Qualche giorno dopo su La Regione Fausta Pezzoli- Vedova rispolvera la storia di questa gloriosa Istituzione terminando l’articolo con una breve intervista al professor Bruno Donati, il quale non ha certo bisogno di presentazioni circa il suo impegno e sensibilità per il patrimonio storico della valle. In sostanza Donati dice: mentre si può capire l’insediamento di un nuovo edificio, risulta per contro assolutamente inspiegabile e insensata la decisione di distruggere il vecchio ospedale, presa dagli architetti, avallata dalle autorità della valle, ma non condivisa dalla maggioranza della popolazione. Per inquadrare i motivi di questa decisione, va ricordato brevemente quanto è successo negli ultimi dieci anni. Come si poteva leggere sui quotidiani del 10 novembre 1999, a seguito della ristrutturazione cantonale, l’Ospedale di Cevio (con i suoi 122 posti di lavoro), fu messo seriamente in pericolo. I burocrati del Dss avrebbero spudoratamente cancellato la struttura vallerana per trasferire tutto in città a costi molto superiori. Questa paradossale soluzione venne “favorita” anche da interessi personali di qualche funzionario con voce in capitolo e interessato a far carriera, anche se il fatto non è il caso di rispolverarlo in questa sede. Solo l’agguerrita battaglia dell’allora Consiglio ospedaliero di Cevio, appoggiato da qualche politico e da 10’000 firme, costrinsero ad un parziale dietrofront il Cantone e quindi alla riconversione in Centro sociosanitario. Poi, tra il 2001 e il 2003 si iniziò a discutere di demolizione. In seguito ad una serata organizzata dalla Stan a Cevio, dove si dichiarò che oramai era tardi (da allora sono passati 5 anni,sic!) e che i lavori di demolizione sarebbero iniziati a breve, mi sentii in dovere come cittadino valmaggese attaccato alle proprie radici, di sollevare sulla stampa qualche perplessità a riguardo della demolizione. Tre giorni dopo fui invitato a pranzo dai promotori, i quali mi spiegarono le ragioni per le quali il vecchio edificio non si poteva salvare, che era tardi e che avremmo perso i sussidi ecc. Feci l’errore che fecero in molti, troppi, di tacere pubblicamente questo scandalo, e di rassegnarci al disinteresse generale. Ci ritrovammo in seguito ad altre riunioni, ma di fatto nessuno fece nulla di concreto e decisivo per impedire la demolizione di quello che a tutti gli effetti è stato l’edificio più significativo e importante della storia valmaggese del ’900.
I numerosi appelli pubblici della Stan caddero nel vuoto e neppure chi in passato aveva scritto di tutto e di più sulla tematica, in questa occasione ha mosso un dito. I presenti alla serata non potranno mai scordare la presentazione del nuovo progetto, che decretava definitivamente la morte del glorioso edificio: alle poche voci contrarie ( tanto per citarne alcune, Giorgio Vedova, Michele Del Ponte, Fausta Pezzoli, Armando Donati…), si contrapposero esuberanti quelle di giovani architetti giunti per l’occasione da fuori valle, ad affermare con l’enfasi e la pomposità tipica di quella casta, che il sacrificio del vecchio sarebbe stato nulla in rapporto a quanto di nuovo stava per arrivare, che noi valmaggesi non potevamo capire, che un giorno saremmo stati fieri del moderno edificio in legno e che sarebbero accorsi da più parti del Pianeta per vederlo e rimirarlo. Mah! A parole è possibile giustificare tutto su questa terra.
Di sicuro, però, in questi giorni è desolante vedere cadere sotto il disprezzo delle ruspe gli ultimi rimasugli di questo dignitoso edificio. Gli ultimi ruderi ancora in piedi sembrano il grido di ammonimento di un pezzo importante del nostro passato che sta per spegnersi, e che abbiamo poco dignitosamente sacrificato alla prima aria di innovazione. Evitabilissimo, se solo ci fossimo mossi tutti assieme, come è necessario fare con coraggio e determinazione quando il buon senso viene totalmente a mancare. Cinque anni bastano per fare due volte il giro del Mondo a piedi. Figuriamoci se non bastavano per trovare un altro terreno dove metterci il nuovo ospedale.
Ospedale di Cevio, requiem e mea culpa di Fiorenzo Dadò, deputato Ppd al Gran Consiglio
Leggo sul GdP la lettera di un giovane valmaggese, deluso dalla demolizione dell’Ospedale di Cevio, che dice cose verissime e che in valle pensano in molti. Qualche giorno dopo su La Regione Fausta Pezzoli- Vedova rispolvera la storia di questa gloriosa Istituzione terminando l’articolo con una breve intervista al professor Bruno Donati, il quale non ha certo bisogno di presentazioni circa il suo impegno e sensibilità per il patrimonio storico della valle. In sostanza Donati dice: mentre si può capire l’insediamento di un nuovo edificio, risulta per contro assolutamente inspiegabile e insensata la decisione di distruggere il vecchio ospedale, presa dagli architetti, avallata dalle autorità della valle, ma non condivisa dalla maggioranza della popolazione. Per inquadrare i motivi di questa decisione, va ricordato brevemente quanto è successo negli ultimi dieci anni. Come si poteva leggere sui quotidiani del 10 novembre 1999, a seguito della ristrutturazione cantonale, l’Ospedale di Cevio (con i suoi 122 posti di lavoro), fu messo seriamente in pericolo. I burocrati del Dss avrebbero spudoratamente cancellato la struttura vallerana per trasferire tutto in città a costi molto superiori. Questa paradossale soluzione venne “favorita” anche da interessi personali di qualche funzionario con voce in capitolo e interessato a far carriera, anche se il fatto non è il caso di rispolverarlo in questa sede. Solo l’agguerrita battaglia dell’allora Consiglio ospedaliero di Cevio, appoggiato da qualche politico e da 10’000 firme, costrinsero ad un parziale dietrofront il Cantone e quindi alla riconversione in Centro sociosanitario. Poi, tra il 2001 e il 2003 si iniziò a discutere di demolizione. In seguito ad una serata organizzata dalla Stan a Cevio, dove si dichiarò che oramai era tardi (da allora sono passati 5 anni,sic!) e che i lavori di demolizione sarebbero iniziati a breve, mi sentii in dovere come cittadino valmaggese attaccato alle proprie radici, di sollevare sulla stampa qualche perplessità a riguardo della demolizione. Tre giorni dopo fui invitato a pranzo dai promotori, i quali mi spiegarono le ragioni per le quali il vecchio edificio non si poteva salvare, che era tardi e che avremmo perso i sussidi ecc. Feci l’errore che fecero in molti, troppi, di tacere pubblicamente questo scandalo, e di rassegnarci al disinteresse generale. Ci ritrovammo in seguito ad altre riunioni, ma di fatto nessuno fece nulla di concreto e decisivo per impedire la demolizione di quello che a tutti gli effetti è stato l’edificio più significativo e importante della storia valmaggese del ’900.
I numerosi appelli pubblici della Stan caddero nel vuoto e neppure chi in passato aveva scritto di tutto e di più sulla tematica, in questa occasione ha mosso un dito. I presenti alla serata non potranno mai scordare la presentazione del nuovo progetto, che decretava definitivamente la morte del glorioso edificio: alle poche voci contrarie ( tanto per citarne alcune, Giorgio Vedova, Michele Del Ponte, Fausta Pezzoli, Armando Donati…), si contrapposero esuberanti quelle di giovani architetti giunti per l’occasione da fuori valle, ad affermare con l’enfasi e la pomposità tipica di quella casta, che il sacrificio del vecchio sarebbe stato nulla in rapporto a quanto di nuovo stava per arrivare, che noi valmaggesi non potevamo capire, che un giorno saremmo stati fieri del moderno edificio in legno e che sarebbero accorsi da più parti del Pianeta per vederlo e rimirarlo. Mah! A parole è possibile giustificare tutto su questa terra.
Di sicuro, però, in questi giorni è desolante vedere cadere sotto il disprezzo delle ruspe gli ultimi rimasugli di questo dignitoso edificio. Gli ultimi ruderi ancora in piedi sembrano il grido di ammonimento di un pezzo importante del nostro passato che sta per spegnersi, e che abbiamo poco dignitosamente sacrificato alla prima aria di innovazione. Evitabilissimo, se solo ci fossimo mossi tutti assieme, come è necessario fare con coraggio e determinazione quando il buon senso viene totalmente a mancare. Cinque anni bastano per fare due volte il giro del Mondo a piedi. Figuriamoci se non bastavano per trovare un altro terreno dove metterci il nuovo ospedale.
piergiorgio rangoni- Numero di messaggi : 6
Data d'iscrizione : 14.11.08
piergiorgio rangoni- Numero di messaggi : 6
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piergiorgio rangoni- Numero di messaggi : 6
Data d'iscrizione : 14.11.08
Re: La storia che se ne va...
sembra un bel posto
Diogene- Numero di messaggi : 62
Data d'iscrizione : 19.11.08
Re: La storia che se ne va...
Un sito interessante a proposito di "storia che se ne va..." e di "paesaggio che se ne va...", é il blog PaesaggioSOS: http://paesaggiosos.blogspot.com/
Diogene- Numero di messaggi : 62
Data d'iscrizione : 19.11.08
Re: La storia che se ne va...
Anche questo è un modo per fare sì che "la storia se ne vada"... impedire che venga ricordata. Magari perchè scomoda per alcuni. Leggete:
(http://www.women.it/cms/index.php?option=com_content&task=view&id=678&Itemid=83)Ipazia, il film che l'Italia non vedrà
Scritto da Redazione
giovedì 08 ottobre 2009
Riprendiamo da La Stampa, un articolo di Flavia Amabile sul film Ipazia, di prossima uscita nelle sale di tutto il mondo, ma di cui in Italia nessuno ha acquistato i diritti.
Dopodomani sarà nelle sale spagnole, il 26 novembre in quelle israeliane, il 18 dicembre dovrebbe arrivare anche negli Stati Uniti e, probabilmente, a gennaio prossimo in Francia. Accompagnato da polemiche, destinato a far discutere, è il film 'Agorà', del regista Alejandro Amenabar, un ritratto di Ipazia, matematica alessandrina, inventrice del planisfero e dell’astrolabio. Ma soprattutto un duro atto d’accusa contro tutti i fondamentalismi religiosi.
Hanno acquistato i diritti per farlo arrivare sul grande schermo anche a Taiwan, in Thailandia e in Grecia. In Italia per il momento tutto tace. I produttori l’hanno guardato con attenzione al Festival di Cannes a maggio, quando era stato presentato fuori concorso. Poi una lunga pausa di riflessione. Così lunga e così silenziosa da aver fatto pensare a molti a qualcosa di più di una semplice valutazione dal sapore economico-aziendale. Sulla rete hanno incominciato a circolare voci sempre più insistenti di pressioni per evitare che il film venisse proiettato nelle sale italiane.
Ad un certo punto, dalle voci si è passati ad una petizione rivolta ai produttori e distributori del film "per provare a voi e ai media che esiste un gran numero di persone" che invece aspettano di vedere il film. La petizione è passata di sito in sito e di gruppo in gruppo su Facebook. In pochi giorni ha superato le settecento firme aiutata anche dall’uscita in questi giorni di un libro su Ipazia («Ipazia, scienziata alessandrina», La Lepre edizioni). "Oggi la chiesa tenta nuovamente l'opera di cancellazione di questa figura scomoda", spiega Mario su Facebook per invitare a firmare la petizione.
'Non voglio parlare di censura - aggiunge Jan Klaus Di Blasio, l'autore della petizione - ma deve far riflettere la mancanza di testi sul Neoplatonismo e su Ipazia. Ad esempio, il volume 8 della serie Storia della Filosofia Greca e Romana di Giovanni Reale, Bompiani, l'unico volume non disponibile e dal titolo "Plotino e il Neoplatonismo Pagano".
Ha firmato anche Piergiorgio Odifreddi, matematico, saggista, e soprattutto fiero anticlericale. «La figura di Ipazia è esemplare. Era una matematica, donna di grande cultura, la sua fu la prima battaglia tra scienza e fede. La perse, divenne prima martire della scienza per mano di uomini mandati dal vescovo di Alessandria, Cirillo. Sono trascorsi milleseicento anni ma siamo ancora allo stesso punto».
Il film, infatti, racconta la storia di Ipazia, (Rachel Weisz, l'attrice inglese Oscar per The Constant Gardener), in una Alessandria d'Egitto del IV secolo d.C., provincia remota di un Impero Romano in disfacimento, dove si scontrano tre gruppi religiosi. Cristiani, ebrei e seguaci del culto pagano di Serapide si massacrano a colpi di pietre e coltelli. A nulla vale la giovane saggezza di questa donna filosofa, matematica, astronoma, che vorrebbe fermarli. Cristiani cattivissimi, giudei sanguinari, pagani studenti di astronomia trasformati in soldati, si rivoltano l'uno contro l'altro mentre i romani stanno a guardare. "Le similitudini tra quei tempi lontani e oggi sono molte", aveva ammesso Amenabar alla presentazione a Cannes. "Questo film non è certo contro una o l'altra delle religioni ma contro ogni eccesso, ogni fondamentalismo e ortodossia". E però i cristiani non ci fanno una gran figura: alla religione di Cristo appartengono i parabolani, i monaci che con una mano danno da mangiare ai poveri e con l'altra scatenano massacri.
Flavia Amabile - Da La Stampa
Diogene- Numero di messaggi : 62
Data d'iscrizione : 19.11.08
Re: La storia che se ne va...
è da questo tipo di cose che si vede il livello di civiltà raggiunto da un paese. Purtroppo l'Italia, avanzatissima in molti campi della cultura ed ereditiera di civiltà evolutissime, risente della pesante zavorra della censura, e soprattutto della censura di stampo politico ed ecclesiastico... Fortunatamente oggi la censura può poco di fronte alla globalizzazione della conoscenza offerta da internet. Si può impedire che un film esca nelle sale, ma non che se ne parli nel web. Ipazia è un personaggio importantissimo per ciò che ha rappresentato nella sua epoca, e la sua vicenda si inserisce in uno dei periodi più oscuri della storia del Cristianesimo, ovvero l'epoca degli eccidi, e della distruzione del mondo pagano. Ma ricordarla significa rimettere in discussione troppe cose, ed in particolare un passato leggendario del Cristianesimo, quello che ci viene insegnato a scuola e mostrato nei film, un passato da cui sono stati cancellati molti, troppi capitoli.
Re: La storia che se ne va...
Ancora sul caso Agorà, un articolo letto oggi sul "Corriere della Sera" che ho molto apprezzato. Ottimo fra l'altro l'intervento del prof. Cacitti...
IL FILM ESCE FINALMENTE ANCHE IN ITALIA «AGORA» DI ALEJANDRO AMENÁBAR, PRESENTATO NEL 2009 A CANNES
Ipazia, martire pagana della scienza
Filosofa e astronoma del IV secolo, fu uccisa dai fondamentalisti cristiani
MILANO - Un anno fa, quando fu presentato al Festival di Cannes tra applausi e dissensi, si capì subito che Agora, il film di Alejandro Amenábar sulla figura di Ipazia di Alessandria, scienziata e filosofa, astronoma e matematica, non avrebbe avuto vita facile. Soprattutto in Italia. Perché la storia di quella donna bella e sapiente, animatrice nel quarto secolo dopo Cristo di una scuola-palestra del libero pensiero, e per questo uccisa e fatta a pezzi da un gruppo di fanatici cristiani istigati dal vescovo Cirillo, è di quelle destinate a rinnovare polemiche e imbarazzi nell' ambito di una Chiesa ancora impegnata a fare conti spinosi con il rispetto della laicità. Difatti, nonostante il film vantasse molte carte a suo favore: la firma di un regista di fama, l' autore di The Others, premio Oscar per Mare dentro, il fascino del kolossal storico, la presenza di una star come Rachel Weisz, luminosa e intensa protagonista, al marchè della Croisette, nessun nostro distributore osò comperarlo. Così Agora uscì quasi ovunque ma non da noi. Un' assenza «sospetta», segnalata da un crescente tam tam nel web e sfociata in una petizione a favore dell' uscita firmata anche dal matematico Piergiorgio Odifreddi e dall' astrofisica Margherita Hack. Finché, ad accogliere tante richieste, è arrivata la nuova Mikado presieduta da Franco Tatò, che dal 23 aprile distribuirà Agora nelle nostre sale. Sarà interessante vedere come verrà accolto. Perché il film sembra fatto apposta per aprire molti dibattiti: il rapporto tra religione e laicità, scienza e fede, culture diverse, femminile e maschile. A precedere discussioni e confronti, due convegni, a Roma e a Milano. Nella capitale oggi interverranno il filologo Luciano Canfora, la bizantinista Silvia Ronchey, il filosofo della scienza Giulio Giorello, il saggista Antonio Gnoli, la giornalista Gabriella Caramore. Il regista Amenábar sarà invece al centro della tavola rotonda di Milano, il 20 aprile, introdotta da Giancarlo Bosetti, direttore della rivista «Reset» e a cui parteciperanno lo scrittore Umberto Eco, la studiosa di diritto romano Eva Cantarella, il teologo Vito Mancuso, la medievalista Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri. E il 21 aprile a Genova sul tema «Ipazia. Il Mediterraneo delle donne» si cimenteranno don Andrea Gallo e il medievalista Franco Cardini. «Agora è la storia di una donna, di una città, di una civiltà e di un pianeta - afferma il regista Amenábar -. L' Agora è il pianeta su cui dobbiamo tutti vivere insieme». «Un film bellissimo, con qualche comprensibile licenza "poetica", ma sostanzialmente fedele alla storia - assicura Eva Cantarella -. Se devo fare un appunto è che lo sguardo del regista è fin troppo neutrale. La violenza dei cristiani e dei pagani viene presentata un po' sullo stesso piano, mentre la storia ci dice che la violenza fu tutta dei cristiani. In questo caso come in molti altri. Si parla sempre delle persecuzioni dei pagani sui cristiani, molto meno di quelle, pur numerose, dei cristiani sui pagani». Smussata nella pellicola anche la crudezza estrema della fine della protagonista. Nella realtà la povera Ipazia finì infatti denudata, scorticata, fatta a pezzi e bruciata da un gruppo di parabolani, estremisti cristiani, massacratori di pagani, braccio armato del vescovo Cirillo. «E non è un modo di dire, visto che i parabolani erano una sorta di squadroni della morte, gente che girava armata di bastoni a picchiare a sangue chiunque in odore di eresia - interviene Remo Cacitti, docente di Letteratura cristiana antica alla Statale di Milano -. Il massacro di Ipazia, sfregiata a quel modo certo anche per il suo essere donna, è solo uno dei tanti episodi di cui quei figuri si resero colpevoli. Assetato di potere, spietato e corrotto, Cirillo si servì più volte dei loro manganelli. Nel 451, al Concilio di Efeso, lì usò per far picchiare a morte alcuni vescovi siriani che potevano essergli contrari...». In cambio, come si ricorda nei titoli di coda del film, fu fatto santo e persino dottore della Chiesa. Quanto a Ipazia, nulla ci è rimasto dei suoi scritti. Ma la sua memoria di martire della libertà di pensiero, può essere oggi più che mai occasione per ripensare alle frontiere ambigue della tolleranza e del fondamentalismo. Giuseppina Manin RIPRODUZIONE RISERVATA Il set La storia Agora è il film di Alejandro Amenábar su Ipazia di Alessandria, animatrice nel IV secolo dopo Cristo di una scuola-palestra del libero pensiero, uccisa da fanatici cristiani Protagonista Nei panni della protagonista Rachel Weisz (nella foto sopra con il regista), inglese, classe 1970. Tra i suoi film The Constant Gardener per cui ha vinto l' Oscar come miglior attrice non protagonista. Al cinema ha debuttato con Bertolucci (Io ballo da sola)
Manin Giuseppina
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